Al tempo di Gesù tutte le malattie erano considerate un castigo di Dio e, addirittura, la sordità era una maledizione perché impediva di ascoltare la parola del Signore proclamata nelle sinagoghe. Però qualcuno, particolarmente illuminato, va oltre e gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano, qualcuno ha il coraggio, la sfrontatezza di portare l’infermità a conoscenza di Dio, del mondo. Senza remore. Senza paure. Oltre il lecito. A questi illuminati non interessa la religione ed i suoi divieti, erano in territorio di “puro” paganesimo, interessa l’uomo ed il suo futuro. Ad un sordo-balbuziente, cioè uno che non ascolta correttamente e quindi conseguentemente non correttamente esprime sé stesso, è accaduto che qualcuno (la comunità!?) si prendesse cura di lui e del suo limite fisico, culturale e concettuale per portarlo a chi, senza giudizio e senza superstizione, potesse fargli comprendere la verità. Gesù. Dio. Così l’opera risanante di Gesù, in pieno territorio della Decàpoli, segna l’inizio di rapporti nuovi fra i popoli, le religioni e le culture; è il segno dell’incontro, del dialogo, della comprensione. La verità del vivere. È sordo e muto chi non si confronta, chi è incapace di dialogare con gli altri, chi rimane chiuso nel proprio mondo, convinto di possedere già tutta la verità e di non avere più nulla da imparare. La menzogna del vivere. Ci si aggredisce perché si è incapaci di prestare ascolto alle ragioni e ai bisogni dell’altro. Anche per chi troppo facilmente ha sulla bocca la carità, ma di fatto tintinna come un cembalo (S. Paolo). È “che forse non siamo più cristiani, ma soprattutto che non lo siamo ancora. Magari fosse vero!” (mons. Derio Olivero). Quante comunità portano il peso dell’altro perché “vorrebbero diventare” cristiane? Lo prese in disparte, lontano dalla folla, comincia un tempo nuovo di incontro intimo, personale con Cristo, necessaria una certa “separatezza” dal mondo per poi tornare nel mondo (in filigrana il monte Tabor e la ridiscesa nel mondo), con orecchie che ascoltano il grido e i bisogni dell’uomo, con bocca che parla le parole vere della consolazione e della solidarietà, con occhi che vedono lo sguardo integrale sul creato, con mani che sanno toccare come lui Dio, che ci ha toccato. La comunità porta a Cristo e poi da uomo nuovo torno ad altre comunità per servire. Questo tempo nuovo, in disparte, ha bisogno di molta sedimentazione, di molta riflessione, di molta umiltà: nessuna premura in Dio e nessuna spettacolarizzazione. Conoscere Dio passando attraverso intimità, gestualità, fisicità gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. Tempo nuovo per una conoscenza nuova di Dio, il Messia si fa incontrare in disparte. Non possiamo biasimare gli antichi fratelli ebrei: loro (noi) educati a che il Messia l’avrebbero visto arrivare sulle nubi, con gloria e potenza grande: come si può pensare che un girovago di Galilea, taumaturgo, semi-mago che usa gesti arcani, prende-tocca-sputa, possa essere il Cristo? Pertanto Gesù impone ulteriormente il silenzio. Per capire più in profondità e più personalmente che differenti vie Dio ha scelto per manifestarsi all’uomo. Scriveva Tacito: “la verità si irrobustisce con la ricerca e la dilazione; la falsità, invece, con l’urgenza e l’incertezza”. Quanti ciarlatani, anche e purtroppo negli ambienti religiosi, usano l’emotività, l’urgenza della soluzione per poter plagiare e far dire, non senza compensi, eccolo qua eccolo là (Lc 17, 21)? Conoscere il Messia significa arrivare fino in fondo al paradosso grande: Dio muore nell’infamia della croce e quindi un pagano potrà urlare al mondo veramente quest’uomo era Figlio di Dio! (Mc 15,39). Lì trovo la scienza di Dio. La scientia crucis. È il vangelo. F. Kafka in una lettera del gennaio 1904 scriveva all’amico Pollok: “Penso che dovremmo leggere solo i libri che ci feriscono e ci colpiscono. Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un colpo alla testa, perché lo stiamo leggendo? In che modo ci renderà felici, come scrivi? Caro signore, saremmo felici se non avessimo libri, e il tipo di libri che ci rende felici è quello che noi stessi potremmo scrivere se dovessimo… Ma abbiamo bisogno di libri che hanno conseguenze su di noi come un disastro, che ci affliggono profondamente come la morte di qualcuno che abbiamo amato più di noi stessi, come essere esiliati in foreste lontano da tutti, come un suicidio. Un libro deve essere la scure per il mare ghiacciato dentro di noi. Questa è la mia convinzione”.
XXIII domenica del tempo ordinario (b)
08.09.2024
Dal Vangelo secondo Marco Mc 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Parola del Signore