“il male grande è l’indifferenza” (s. teresa di calcutta)
Partendo da questa frase vorrei condividere l’omelia. La seconda parabola escatologica del capitolo 25 di matteo ci colloca appieno, attraverso il suo argomentare, nella fondamentale scelta esistenziale: nascondere e nascondersi (egoismo) o prodursi per fruttificare (donarsi).
Indifferenza sciocca “nun c’è ne coviddi”, il male grande di non accorgersi delle fragilità dell’umanità e dei suoi connaturali limiti. Coviddi flagello o crisi mondiale dalla quale prendere coscienza per una mondiale rigenerazione? Coviddi, come metafora, spia d’allarme per rigenerare umanizzazione, fraternità, cura. Nuovo umanesimo.
Nei talenti dati da un uomo-padrone-signore (già conosciuto in altre parabole) prodigo -elargì senza ritegno lasciando tutto ai servi- ci sta la possibile capacità umana di saper scegliere, valutare ciò che raddoppi l’investimento finanziario, nel lungo periodo dell’esperienza del vivere. Scuola di ingegneria finanziaria.
Sappiamo che il talento era una “moneta” il cui valore corrispondeva a quindici anni di lavoro, quindi proviamo a non considerarlo come un carisma sapienziale, ma concretamente qual è: stipendio anticipato perché si sappia investire nella vita.
Il padrone ne distribuì otto, numero simbolico dell’universo e dell’infinito. Uno ne ricevette cinque, uno due e un altro uno. Tutto è stato distribuito anticipatamente prima, senza meriti acquisiti, senza indulgenze lucrate. Forse perché nel dilatarsi della vita la fragile inesperienza dell’amare possa divenire solida esperienza di longanimità. Forse perché avverrà nella vita la potente scelta di starci per amore dell’amare.
La gioia del padrone al suo ritorno non è quella commerciale di aver trovato più danaro -lo lascerà totalmente- ma di essersi accorto che i primi due servi hanno dilatato la loro vita, hanno coltivato e custodito relazioni, hanno accresciuto risposte d’esperienza, hanno sviluppato attitudine alla moltiplicazione di accadimenti.
Questi ce l’hanno fatta potremmo ben dire, non self made man, ma servi di speranza corresponsabile. Guardando il volto del loro padrone riconobbero da subito la fiducia aperta, anticipata, illimitata. Hanno voluto amare come ama il Signore.
Anch’io vorrei amarti come ti ama il Signore: vorrei poterlo gridare, vorrei poterlo vivere. Raddoppierei la posta in gioco, raddoppierei la gioia.
Ma qualcuno non ce la fa…eppure si può scegliere di non corrispondere, sotterrando produttive speranze. Male d’indifferenza.
La triste sorpresa di accorgersi che il terzo servo sotterrò ogni speranza, travisando completamente il volto di gioia del signore stesso, rende manifesto l’egoismo bieco con cui tante volte formattiamo la vita.
La possibilità che il padrone ha di mietere e raccogliere dove non ha seminato dice fiducia da parte di altri “padroni” a lasciare che questo furto avvenga per condivisione. Ma tant’è che questo servo legge la sagacia del Signore come crudeltà.
In questo ci sta un forte analogia con la distorta visione e comprensione dei nostri progenitori rispetto all’invito di Dio su come abitare il giardino di Eden -il qui ed ora-, fino al punto di nascondersi per paura. Paura che distorce il reale ritenendo il talento non donato ma pegno da restituire. Paura che ha reso la vita di quest’uomo un inferno: vita depotenziata, arrestata, cattiva. Indifferenza maligna.
La malvagità dell’egoismo ora si palesa con tutta la sua distruttiva forza: il “tuo talento” che avevo sotterrato ora te lo ritorno con il fango della tomba: il terzo servo non l’ha sfangata nella vita ma ha infangato la vita, vita sotterrata. La gioia non c’è stata nella vita, non è stata investita, barattata, scambiata, commercializzata. Ora come prima c’è il buio del terrore con stridore di denti e lacrime di odio.
Il prima e l’adesso hanno la stessa cifra di indifferenza: non pianse per amore, non si sporcò le mani con l’astuzia della carità, non si compromise con la fiducia. L’adesso delle tenebre è come il prima di una vita grama. Inutile.
Nessuna indicazione era stata data dal padrone alla consegna dei talenti, a significare il fondamento fiduciale gratuito e totale del dono: i primi due servi hanno avuto la capacità di reinterpretare la fede in operosità d’amore, l’ultimo di fatto non ha disobbedito ad un comando, ai comandamenti, ha disobbedito a se stesso colpevolizzando il padrone, uomo duro.
Allora possiamo ben comprendere che non sono tanto i comandamenti a meritarci la gioia quanto la freschezza del comprometterci con vita. Che non sono il conservatorismo e il tradizionalismo stantii a guadagnarci la speranza di un mondo sano, quanto la bontà di custodire quotidianamente responsabilità.
Aurore mattutine di fedeltà rinnovate rispetto a tenebre notturne di paurosi tradimenti. Bene servo buono e fedele costruttore di fraternità partecipa alla gioia di chi ama l’umanità. Avverrà. Adesso.
domenica XXXIII T.O.
dmc 15.11.2020
Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,14-30
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo. Il padrone gli rispose: Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». Parola del Signore.