Siamo collocati all’interno del cenacolo, all’interno del contesto dell’ultima cena, all’interno del cosiddetto discorso sacerdotale di gesù; siamo nell’interno del cuore di dio che sta consegnando (anche a noi) il suo testamento, il suo progetto di vita.
Il progetto di vita per crescere nella vita di fruttificazione. Uva per il vino della gioia.
Un progetto di ampio respiro reso perenne dalla certezza che la vite è lui stesso: dio padre è il vignaiolo, ma la vite è il figlio, che ogni anno rigenera le gemme dalle quali si sviluppano i tralci. Gesù si autodefinisce la vite, gesù sa di essere vite che sempre alimenta nuovi tralci.
I profeti e tutti gli scritti del primo testamento vigna il popolo di israele, di cui il signore ne è proprietario e vignaiolo: c’è un rapporto di proprietà, certo anche di cura e di passione –è il vignaiolo-, però come se mancasse un’inclusiva prossimità, un’identità stessa tra l’alterità di dio e il suo popolo. Un’alienante differenziazione. Una divisiva natura: dio e creatura.
Ma gesù identificandosi con la vite elimina l’alterità tra dio e la creatura. Come se dicesse che lui stesso è creatura e da creatura incarna la volontà del padre suo –portare molto frutto-, creando e mantenendo nella storia un rapporto connaturale, intimo, vitale, essenziale, progressivo e produttivo con l’umanità –il tralcio-.
Ai discepoli è richiesto di rendersi conto, cioè di crescere nell’autocomprensione di se stessi e delle propria vera fede, che senza di lui non potete far nulla. Senza di lui non posso far nulla, senza che io ricada in un banale orgoglio di presunzione, di autonomia. Senza di lui, categorico, non posso capire la mia esistenza in rapporto a.
La forte affermazione della necessità di rimanere come tralci legati in continuità alla vite sottolinea, all’uomo e alla donna di ogni tempo, la dimensione creaturale di condivisione e di imprescindibile relazionalità tra il dono che anticipa –la vite ed il dono della vita-, ed il crescere che eternizza –il tralcio-, rinnovando costantemente il frutto, per una vita donata, per una vita in uscita, per una vita moltiplicata.
Comprendersi in una continuità di identità tra la vite-gesù ed il tralcio-discepolato, s. paolo dirà per me il vivere è cristo (filippesi 1,21), ridimensiona da un lato l’inutile pretesa di supremazia di uomini, di politiche, di ideologie senza di me non potete far nulla, dall’altro è garanzia di possibilità di vivere da uomini e donne che “producono” vita. Fruttificano gioia.
Ancora un punto è utile per la comprensione della vocazione alla vita di moltiplicazione: ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto, la potatura. Essere potati, venire potati indubbiamente in prima battuta può infastidire e spaventare, mentre alla luce della crescita spirituale e psicologica manifesta la gradualità del conformarsi a cristo, alla sua salvatrice potestà (s. giovanni paolo II) ed alla sua umana umile mitezza.
Sempre s. paolo nella lettera ai filippesi afferma il morire un guadagno: la morte a se stessi è guadagno di vita, la morte agli egoismi è investimento fruttifero.
Il teologo von balthasar a proposito della vita di senso in adesione al progetto del padre, innestata e potata in cristo: “nessuna gioia è profonda senza sacrificio delle felicità superficiali; non soltanto sul piano individuale, ma anche sociale: il singolo può rinunciare a se stesso con gioia per il bene comune […]Il sì alla sofferenza e alla notte ha la sua ultima giustificazione nella cristologia: in un sì del Figlio alla volontà del Padre che ha potuto essere pronunciato soltanto nella gioia e non nel lamento”.
Ecco, michele, tu amica e amico, assumere la vita come segno per il bene comune, senza lamento come il tralcio potato, è la gioia di una vigna per l’ebbrezza di tutti.
Buona domenica.
V domenica di pasqua – anno B
dmc 02.05.2021
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore,
chi rimane in me porta molto frutto. (Gv 15,4a.5b)
Alleluia.
Vangelo
Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Parola del Signore