chiama i lavoratori

Vocazione di lavoro, vocazione al lavoro nella vigna del Signore: la vigna luogo in cui si coltiva la bevanda della gioia, della festa, delle nozze, del sangue di Cristo.

Lavoratori per il vignaiolo della gioia: perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (giovanni 15,11), anche l’evangelista giovanni insiste nel discorso della vigna per una coltivazione della gioia. Una gioia che si consolida, si struttura, si performa nel lavorare con passione per…: per innanzitutto, per l’edificazione di una civiltà della solidità delle relazioni, per gli scenari di giustizia e di pace.

Ma il lavoro produce necessariamente il salario, i denari che, qualora venissero idolatrati, corromperebbero la libertà del servire: si innesta nel cuore un senso di meritocrazia che inquina la solidarietà tra i “colleghi in umanità”.

Il giusto ve lo darò parabola della giustizia di Dio maestra nella correzione del merito dell’uomoquesti ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi-. Tutti lavoratori, anzi con anche qualche scansafatiche –perché ve ne state qui senza far niente?-, ma poco solidali tra loro, gelosi delle proprie competenze; chi prenderebbe a lavorare per l’ultima ora della giornataalle cinque del pomeriggio-, immaginando realisticamente che l’ora si riduca solo a pochi minuti, gente fannullona?

Gesù da settimane ormai ci sta “perseguitando” (come perseguitò saulo) sul perdono, essenza della libertà del discepolo; perdono che, oggi, noi dovremmo chiedere a lui per la nostra gelosa invidia: invece attraverso il perdono lui stesso vuole continuamente mostrare il volto di un “padrone” buono, giusto, misericordioso, accogliente, propositivo, prodigo. Va oltre ogni convenzione, oltre ogni equo diritto del lavoro, senza contravvenire al contratto stipulato: nella vita cristiana, il suo renderci figli costituisce la pienezza della paga. Questa è misericordia incarnata tangibile.

E nonostante la sua giustizia il padrone risulta essere un po’ “grullo”, per dirla alla collodi, nel senso che il Dio di Gesù, il padrone di casa e della vigna si lascia anche abbindolare, si lascia far su da sfaticati per amarli, giustizia di Dio risibile da cuori aridi, donando loro un salario di dignità: un denaro al giorno serviva per sfamare una famiglia. E questo sembra ancor oggi, nelle nostre politiche sociali, essere assente.

È costitutivo, per la libertà del discepolo, condividere elementi fondamentali per la vita, prima che teorizzare su sterili accomodate verità. Prima l’umanità da sfamare poi i valori per ricostruire umanità.

Economia fallimentare, ancora una volta, quella di Dio, paghe identiche per lavoratori tenaci e robusti e volitivi –noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo– e via via per i meno solerti e volonterosi; ma che questo non funziona, non è giusto: non siamo tentati anche noi a dirlo!? Così si fa fallimento!

Eppure se un uomo e se una donna non hanno un minimo per sfamarsi e sfamare, come pensiamo di poterci dire società evoluta, democrazia, come poterci dire discepoli.

A proposito vorrei ricordare l’alto magistero di benedetto XVI dall’enciclica caritas in veritate: “la giustizia anzitutto. Ubi societas, ibi ius: ogni società elabora un proprio sistema di giustizia. La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso «donare» all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è «inseparabile dalla carità», intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com’ebbe a dire Paolo VI (ora santo), «la misura minima» di essa, parte integrante di quell’amore «coi fatti e nella verità» (1 Gv 3,18), a cui esorta l’apostolo Giovanni. Da una parte, la carità esige la giustizia: il riconoscimento e il rispetto dei legittimi diritti degli individui e dei popoli. Essa s’adopera per la costruzione della “città dell’uomo” secondo diritto e giustizia. Dall’altra, la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo…”

Amico, io non ti faccio torto: il Signore ci assicura, attraverso la sua giustizia incarnata che non ci tradisce, che non ci truffa; è la nostra visione egoistica che truffa il mondo reclamando e accampando diritti sempre di primogenitura (nord del mondo contro sud del mondo, est contro ovest) e richiamando incessantemente alla riconoscenza di meriti prodotti: un pil religioso.

Lui non ci fa torto, lui ci sta insegnando a costruire il regno dei cieli che agogniamo, che predichiamo, che pretendiamo ma, alla “resa dei conti “, alla distribuzione delle ricchezze prodotte ci arrabbiamo, inveiamo contro a chi, secondo noi mai secondo Dio, non è degno. Concretezza di bilancio, bilancio consolidato nella dis-equità e pretendiamo il regno…

La sua (in)coerente equità indica invece la “terza via” dell’economia per una globalizzazione della dignità umana, né oppressi né oppressori, né schiavi né schiavisti, ma corresponsabilità ad educare alla vita perché ognuno sia degno di costruire il regno.

Lavoratori nella vigna produttori di ebbrezza di solidarietà.

domenica XXV T.O.

dmc 20.09.20

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Apri, Signore, il nostro cuore e accoglieremo le parole del Figlio tuo. (Cfr. At 16,14b)

Alleluia.

Vangelo

Sei invidioso perché io sono buono?

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

Parola del Signore.


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